di Sakyong Mipham Rinpoche
Ciò che facciamo è domare la nostra mente. Cerchiamo di superare ogni tipo di ansia ed agitazione, ogni tipo di schemi abituali di pensiero, in modo da essere in grado di sedere con noi stessi. La vita è difficile, potremmo avere grandi responsabilità, ma la cosa strana, la logica rovesciata è che il modo per relazionarci allo scorrere fondamentale della vita consiste nel sedersi completamente immobili. Potrebbe sembrare più logico tentare di accelerare, ma qui riduciamo tutto al livello più basilare.
Domiamo la mente facendo uso della tecnica della presenza mentale. Molto semplicemente la presenza mentale è completa attenzione al dettaglio. Siamo costantemente assorti nel tessuto della vita, nella struttura del momento. Realizziamo che la nostra vita è fatta di tali momenti e che non possiamo avere a che fare con più di una situazione per volta. Anche se abbiamo ricordi del passato e idee sul futuro, è la situazione presente, quella che sperimentiamo.
Così siamo in grado di sperimentare la nostra vita pienamente. Potremmo ritenere che pensando al passato o al futuro rendiamo la nostra vita più ricca, ma se non prestiamo attenzione alla situazione immediata, ci perdiamo veramente la vita. Non c’è nulla che possiamo fare a riguardo del passato, possiamo solo passarlo in rassegna di nuovo e di nuovo, mentre il futuro è completamente sconosciuto.
Perciò la pratica della presenza mentale è la pratica dell’essere vivi. Quando parliamo di tecniche meditative, parliamo delle tecniche della vita. Non parliamo di qualche cosa di separato da noi. Quando parliamo dell’essere presenti e del vivere in modo presente, parliamo di pratica della spontaneità.
È importante capire che qui non si parla del tentativo di accedere a qualche stato mentale superiore, particolarmente elevato. Non stiamo dicendo che la nostra situazione attuale è indegna. Ciò che stiamo dicendo è che la situazione presente è completamente disponibile, in modo non distorto e che questo è possibile tramite la pratica della presenza mentale.
A questo punto possiamo descrivere la vera e propria forma della pratica. Per prima cosa è importante relazionarsi con il locale e con il cuscino su cui pratichiamo. Ci relazioniamo con il luogo in cui meditiamo come fosse il centro del mondo, il centro dell’universo. Questo è il luogo in cui proclamiamo la nostra sanità, perciò quando ci sediamo il cuscino deve essere considerato come un trono.
Quando ci sediamo, lo facciamo con un certo grado di orgoglio o dignità. Le nostre gambe sono incrociate e le spalle rilassate. Abbiamo la sensazione di ciò che sta sopra, di qualcosa che ci trascina verso l’alto e nel contempo sentiamo il terreno. Le braccia sono comodamente appoggiate alle cosce. Coloro che non possono sedersi su di un cuscino, possono stare su una sedia. Il punto principale è di essere piuttosto comodi.
Il mento è leggermente rientrante, lo sguardo gentilmente focalizzato verso il basso a circa un metro e mezzo davanti a noi, la bocca è leggermente aperta. La sensazione di base è di comodità, dignità e fiducia. Se sentite di dover muovervi, semplicemente vi muovete, modificate leggermente la postura. Questo è il modo con cui ci relazioniamo al corpo.
La parte successiva, la vera parte semplice, consiste nel relazionarsi con la mente. La tecnica di base risiede nel notare il respiro, nell’avere la sensazione del respiro. Il respiro è ciò che usiamo come base per la nostra pratica della presenza mentale: ci riporta al momento, ci riposta alla situazione presente. Il respiro è qualche cosa di costante, altrimenti sarebbe troppo tardi.
Poniamo l’enfasi sull’espirazione. Non accentuiamo né alteriamo assolutamente il respiro, semplicemente lo notiamo. Notiamo il respiro uscire e quando inspiriamo c’è un’interruzione momentanea, uno spazio. Ci sono varie tecniche meditative e questa è una avanzata. Impariamo a focalizzare l’attenzione sul respiro e nel contempo diamo spazio alla tecnica.
Poi capiamo che, anche se ciò che stiamo facendo è molto semplice, sorge un numero incredibile di idee, pensieri e concetti sia sulla vita che sulla pratica stessa. Il modo con cui lavoriamo con tali pensieri consiste semplicemente nell’etichettarli. Facciamo semplicemente sapere a noi stessi che stiamo pensando e torniamo a seguire il respiro.
Perciò se ci chiediamo che cosa faremo per il resto della nostra vita, semplicemente etichettiamo ciò “pensiero”. Se ci chiediamo che cosa ci sarà per pranzo semplicemente etichettiamo ciò “pensiero”. Ogni cosa che emerge è gentilmente riconosciuta e lasciata andare.
Non vi sono eccezioni in questa tecnica, non vi sono buoni pensieri e cattivi pensieri. Se state pensando a quanto sia meraviglioso meditare, questo è comunque un pensiero. Quanto era grande il Buddha: è comunque un pensiero. Se volete uccidere la persona seduta di fianco a voi, etichettate tutto ciò “pensiero”. Non importa quale estremo raggiungiate; è pur sempre pensiero; tornate al respiro.
Di fronte a tutti questi pensieri, è difficile essere nel momento e non lasciarsi deviare. La nostra vita ha creato una barriera fatta di diverse correnti, elementi ed emozioni che cercano di disarcionaci, destabilizzarci. Emerge di tutto, ma tutto è etichettato come pensiero e non siamo trascinati via. Ciò significa che manteniamo il nostro posto e semplicemente lavoriamo con noi stessi.
L’idea del mantenere il nostro posto, il nostro seggio, continua quando lasciamo la sala di meditazione e torniamo ad occuparci della nostra vita. Manteniamo dignità ed umorismo e lo stesso tocco leggero che avevamo usato per lavorare con i nostri pensieri. Mantenere la propria posizione non significa rimanere rigidi e cercare di essere delle rocce; tutto il processo riguarda l’apprendere la flessibilità. Il modo con cui trattiamo i pensieri e noi stessi è lo stesso modo con cui trattiamo il mondo.
Quando iniziamo a meditare, la prima cosa che realizziamo è quanto la situazione sia selvaggia, quanto la mente sia selvaggia, quanto la nostra vita sia selvaggia. Ma quando iniziano a presentarsi le qualità della mente domata, quando siamo veramente in grado di sederci con noi stessi, vediamo che esiste una vasta ricchezza di possibilità che si presentano dinanzi a noi. La meditazione consiste nel guardare nel nostro cortiletto dietro casa, per così dire, nel guardare che cosa veramente abbiamo, per poi scoprire la ricchezza già esistente. La scoperta di tale ricchezza è un processo che avviene momento per momento e man mano pratichiamo, la nostra consapevolezza diviene sempre più acuta.
Questa presenza mentale allora avvolge tutta la nostra vita. Questo è il miglior modo per apprezzare la sacralità di tutto. Con l’aggiunta della presenza mentale improvvisamente tutta la situazione si ravviva. La pratica impregna tutto ciò che facciamo; nulla è escluso. La presenza mentale pervade suono e spazio. È un’esperienza completa.